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creativi e autoproduzione

gennaio 2nd, 2016
PARLAVANO DI ME

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di Marcello Napoli –

PARLAVANO DI ME DI GIUSEPPE GRATTACASO

Parlavano di me, pubblicato da Effegi edizioni, è il titolo della raccolta di nove racconti di Giuseppe Grattacaso. Una lente d’ingrandimento sulle persone, un richiamo agli antichi bestiari moraleggianti e alla Natura, una vena nostalgica e quadri di realismo quotidiano sono gli ingredienti di queste storie. Giuseppe Grattacaso ha radici letterarie e culturali nella poesia e nel teatro, sa dosare le entrate e uscite di scena degli attori, dei personaggi, senza effetti hollywoodiani. Da regista e osservatore della realtà sa misurare il sapore dolceamaro delle piccole cose che cambiano una vita, le danno una svolta e qualche volta possono, se non illuminarla, darle un senso, un bagliore. “L’avete viste voi mai tante stelle?/ Ma non ce n’era una in movimento./ Così mi assale terribile argomento/ che nulla accada in cielo e l’universo/ sia proiezione di qualche marchingegno/ scatola magica, intrattenimento”, scrive Grattacaso in una raffinata plaquette, edita con torchio a mano da Gaetano Bevilacqua per i tipi delle Edizioni dell’Ombra. I racconti ci portano con mano nel marchingegno dei nostri giorni, una proiezione di ombre e anime. “Ippopotamidae” è il primo racconto, la prima scena di questo carosello e teoria di personaggi alle prese con il quotidiano, con quel qualcosa lasciato o perduto implacabilmente o da ritrovare in frammenti. “Gli uomini sono diventati incapaci di vivere la natura”, colpa di lavori sempre più alienanti, uguali, inesorabili e immobili. Così, il protagonista del racconto, uno dei custodi di uno zoo, nel suo incamminarsi avanti e indietro, non solo nello spazio circoscritto delle gabbie degli animali, ma anche nel tempo della sua vita, nell’osservazione del comportamento, carattere degli animali, scorge, sempre più, l’abisso tra noi e la Natura, tra l’Io e il Tu. Leggere gli animali; un buon motivo per riflettere sul comportamento degli uomini, fossili viventi, sopravvissuti, come gli ippopotami, cui va la simpatia nostra e dell’autore. Storie di predicatori alle prime armi, come Carlo Migliore, di professori come Alberto Tommasini e del figlio Cristiano; nomi e cognomi familiari, forse di amici comuni di Salerno, già passati ad altre rive, come Cesare Alfano. Personaggi immersi nell’ingranaggio, del nostro caos quotidiano, prigionieri, ma con quel palpito di umanità e desiderio di uscire almeno dallo stato di frenesia collettiva, dall’implacabile flipper e dalle montagne russe, dai looping della realtà. Un palcoscenico e nove atti, nove momenti della realtà: coppie che si incontrano dopo anni nel luogo delle loro vacanze, forse più serene in un tempo di speranze disilluse; il professore alle prese con un figlio che nasconde i propri fallimenti universitari; una giovane extracomunitaria in attesa di ritirare il permesso di soggiorno; una giovane donna nel carosello di concorsi di bellezza e sul tappeto delle maldicenze, bersaglio e freccia delle chiacchiere; un sarto, le cui mani tremolanti non lasciano scampo se non ad un futuro incerto. Uomini e donne che sembrano avulsi dalla vita e dalla società, pianeti in orbite senza controllo, in cieli apparentemente diversi dal nostro; invece, come sembra sussurrarci Grattacaso, ognuno di loro parla di noi, di questo tempo che non dominiamo, ma che ci avvolge senza pietas, senza dialogo. Un tempo veloce, schizofrenico, alienante in cui tutto sembra normale e niente è normale, un tempo fatto di silenzi, -tranne che nell’area dello zoo-, e lontananze, in cui ognuno è racchiuso in un cono d’ombra e la distanza tra l’Io e il Tu è di pianetini irraggiungibili se non sei il Piccolo Principe.

Marcello Napoli

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