creativi e autoproduzione
di Marcello Napoli
MOLESKINE
Nero, copertina di cartone rigida; un morbido elastico e un altro, più piccino, per infilarci una penna o una matita e mille ricordi o pagine di diario. E’ il precursore del tablet; il Moleskine, reso celebre dalle note di viaggio di Chatwin. “Moleskine” è il romanzo di esordio di Salvatore Mazzeo, 25 anni, laureato in medicina, impegnato in associazioni per la difesa dei diritti civili. Si tratta di una lunga scia di fotogrammi di una pellicola di un sogno che è stato appena vissuto, che non puoi fermare se non su un foglio e che puoi richiamare alla memoria, magari in attesa di quel treno che ti porti altrove. Il protagonista è un giovane studente dell’Università che riavvolge la pellicola dell’ultimo anno di liceo e con fitti dialoghi “in presa diretta”, qualche flash back e zoomate, pochi trucchi hollywoodiani, ci fa rivivere le ansie, emozioni, momenti di un gruppo di amici e ragazze: Ayer, Nic, Santiago, Alessia, Martina, Tom, il Corvo, Ciarli, Angi. E’ il mondo dei diciottenni, dei liceali sulla soglia tra un universo composto di musica, letture, impegni, brividi, inquietudini e in fibrillazione, come la società tutta. “Vi sono armonie mute ai sensi“; è un paragrafo significativo dello stile maturo del giovane autore che si destreggia tra i rapporti numerici dei suoni emessi da ogni singolo pianeta, stella, satellite e le melodie, le parole, che non sappiamo più ascoltare. Le melodie della natura, ma più ancora le note, i dialoghi, i sogni, le aspirazioni dei ragazzi che si stanno per affacciare sull’abisso della vita reale: un abisso da attraversare per diventare individui e non massa, un baratro che è un viaggio d’iniziazione, una esplorazione di sè e della realtà. Un affresco, anzi un acquerello, -altra passione dell’autore-, di una “gioventù non bruciata, ma infiammabile”, non perduta, ma alla ricerca di identità e soprattutto di punti di riferimento, di quelle speranze che si tramutino in certezze. E ci stanno i cicchetti, le guance arse per i primi baci, sempre primi, sempre diversi, e i cortei e le serate a suonare o sentire la musica pop e rock dei Genesis, dei Pink Floyd, del Banco, degli Area, dei Led Zeppelin, Yes, Doors e ancora. Una generazione di appena ieri che rievoca quella dei primi anni ’70, dell’impegno, della riflessione, del cambiamento; un plausibile cocktail temporale senza le concessioni spettacolari o superficiali di certi film di cassetta, ma con un profondo senso di introspezione, dove la parola, soprattutto quella scritta, è il giusto, se non unico modus operandi per fermare l’attimo. “Quell’anno siamo tutti morti. E rinati. Quell’anno fu un continuo andare in direzioni opposte, un continuo lasciarci e salutarci da lontano, un continuo vivere attimi e ricordare il tempo”, scrive l’autore. Cosa può l’attesa di un treno, quella “mezzorata”, come scriverebbe Camilleri, e quei temi come “La vita come eterna ricerca; Il viaggio come scoperta; Il canto XXVI ? Quel che è rimasto è ciò che ora ricordo, che scrivo e che rileggo. E quello che non ricordo ormai non è più, poco vale stare ancora a pensarci”, scrive Mazzeo, nel solco Parmenideo e di quel senso dell’attimo delle giovani generazioni: l’Essere è, il non Essere non è. Ergo “carpe diem”.