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APPROFONDIMENTO SUI BREVETTI CON L’ESPERTO

Nell’articolo di questo mese intendiamo soffermarci in merito alla disciplina sulla concorrenza sleale.
Preliminarmente, osserviamo che l’iniziativa economica e la concorrenza sono libertà tutelate a livello costituzionale. L’articolo 41 della Costituzione, infatti, stabilisce che “l’iniziativa economica privata è libera”. Essa, tuttavia, “non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Libertà di iniziativa economica, che comprende sia le attività imprenditoriali in senso stretto, che le altre attività economiche scaturenti da vincoli contrattuali. Naturalmente, tale libertà trova un limite nel momento in cui il suo esercizio si manifesta in maniera tale da ledere diritti di altra specie, che trovano pari tutela nella Costituzione stessa. Ci si riferisce alle cosiddette utilità sociale, sicurezza, libertà in senso stretto e dignità umana.
Oltre alla libertà di iniziativa economica, trova presidio nella Costituzione, seppur in modo meno evidente, la libertà di concorrenza. All’interno dell’elenco di cui all’art. 117 Cost comma 2, in merito alle materie per le quali lo Stato esercita il potere legislativo in modo esclusivo, è possibile trovare la “tutela della concorrenza”.
Il diritto della concorrenza, noto anche come diritto antitrust, è molto vasto, e si è sviluppato in Italia in epoca piuttosto recente, in seguito all’approvazione della legge 287/90, la quale ha implementato a livello nazionale le disposizioni indicate dal Trattato di Roma del 1957 concernenti le intese restrittive della concorrenza e l’abuso di posizione dominante, disciplina che, va osservato, trova applicazione solamente con riferimento a condotte poste in essere da “agenti” economici che detengono delle determinate e considerevoli quote di mercato.
Ben prima dell’approvazione della summenzionata legge sul diritto antitrust, il nostro sistema legislativo vietava già, e vieta tuttora, determinate condotte le quali possono essere esercitate da tutti gli agenti economici, a prescindere dalla loro quota di mercato.
Queste pratiche vengono ricomprese all’interno di un’apposita sezione del Codice Civile, denominata
“Concorrenza sleale”. In particolare, l’art. 2598 c.c. elenca le possibili ipotesi di concorrenza sleale, tra cui vengono ricomprese:

  • l’uso di nomi o di segni distintivi idonei a produrre confusione con altri nomi o segni distintivi legittimamente utilizzati da altri soggetti;
  • l’imitazione servile dei prodotti di un concorrente;
  • la diffusione di notizie ed apprezzamenti su prodotti o sull’attività di un concorrente, che siano idonei a determinarne il discredito;
  • l’appropriazione di pregi di prodotti di un concorrente.

Vengono poi ricompresi, in linea generale ed omnicomprensiva, tutti quei comportamenti non conformi ai principi di correttezza professionale che siano idonei a danneggiare l’altrui azienda.
Si intuisce che tali fattispecie non possono essere compiute da un soggetto qualsiasi, ma devono ricorrere dei determinati presupposti soggettivi in capo sia al soggetto attivo, inteso come colui che compie gli atti di concorrenza sleale, ed il soggetto passivo, ossia colui che subisce tale condotta. Sembra ovvio, ma è doveroso ricordare, che poiché la legge fa riferimento ad atti di concorrenza sleale, i due soggetti devono svolgere la propria attività in una situazione di effettiva concorrenza, quindi quando essi svolgono una simile attività di produzione o scambio di beni o servizi, idonea a soddisfare gli stessi bisogni, o bisogni simili.
Ai fini dell’individuazione del rapporto di concorrenza tra i due agenti, vengono presi in considerazione degli opportuni parametri, come ad esempio la stessa clientela o l’identità dei prodotti o dei servizi, o la condivisione dello stesso profilo territoriale.
Altro requisito fondamentale per l’applicazione di tale disciplina è la qualifica di imprenditore in capo sia al soggetto attivo che al soggetto passivo. Tuttavia, ai fini della sussistenza di tale requisito è sufficiente che venga esercitata di fatto un’attività economica organizzata di produzione o scambio di beni o servizi. Da ultimo, è importante notare che la disciplina di cui all’art. 2598 c.c., ove ne ricorrano i requisiti, è cumulabile con la disciplina specifica posta a tutela dei marchi, dei disegni e modelli e dei modelli di utilità di cui abbiamo parlato nei precedenti articoli. In tema di concorrenza sleale saremo più dettagliati negli articoli che seguiranno.

Pietro Ilardi
Antonio Cammalleri

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