creativi e autoproduzione
LINEA DI COMUNICAZIONE DIRETTA E MULTIDISCIPLINARE FRA L’OPEN DESIGN E LA SFERA DEGLI INTERACTIVE THINGS
“La grande opportunità offerta dal Movimento dei Makers è quella di essere contemporaneamente piccoli e globali. Artigiani e innovativi. High tech e low cost.”
(Chris Anderson)
Partendo da questo assunto era chiaro che vi fossero linee comuni e asimmetrie funzionali tra il mondo dei designers autoproduttori e i makers – sebbene entrambi etimologicamente denuncino una similitudine d’intenti, denotano poi differenze sostanziali in alcune fasi procedurali.
Il claim “Do it yourself” è caro ad ambedue le comunità, un’esortazione a riappropriarsi delle conoscenze tecniche delegate per molto tempo solo e necessariamente a circuiti professionali interni a grandi gruppi industriali e medie imprese, ma una difformità evidente è nella creazione di manufatti unici o in piccole serie da parte del primo collettivo, e nello “sviluppo produttivo” di servizi, attraverso una struttura di lemmi elettronici, da parte del secondo.
Ed ecco perché bisogna conoscere Casa Jasmina, idea nata dalla collaborazione di quattro menti brillanti: Massimo Banzi (co-fondatore di Arduino), Bruce Sterling (scrittore e giornalista), Jasmina Tesanovic (femminista e attivista politica) e Lorenzo Romagnoli, coordinatore dell’iniziativa, con cui abbiamo avuto il piacere di parlare in occasione della scorsa edizione della Maker Faire a Roma.
Quest’ultimo incarna oggi una figura fondamentale nel processo d’integrazione fra digitale e analogico, difatti le sue specializzazioni (interaction design, digital media, physical computing e digital fabrication) vertono sulla comunicazione fra settori idealmente diversi, ma praticamente compatibili: Casa Jasmina si propone come interfaccia pubblica per IoT, acronimo di Internet of Things, ossia un’estensione reale e concreta della rete virtuale, in cui tutti gli oggetti del mondo diventano comunità.
I sistemi intelligenti in generale e IoT sono guidati da una combinazione di tre elementi basilari: i sensori e chi li attiva (attraverso i dispostivi di uso quotidiano come i GPS, dotiamo il nostro ambiente di un sistema nervoso digitale), la connettività (gli input vengono digitalizzati e riposizionati all’interno di innumerevoli networks come wifi, bluetooth, ethernet), le persone e i processi (gli input poi sono organizzati in un insieme bi-direzionale che integra dati, individui, procedimenti di vario interesse per migliorare decisioni relative a sicurezza, energia, finanza, monitoraggio remoto).
Le interazioni fra queste entità danno vita a nuove applicazioni e servizi come Car2Go o Nest, che progrediscono e agiscono su sfere di consumo più ampie come la sanità, le infrastrutture, la mobilità e la dimensione domestica.
Obiettivo essenziale di Casa Jasmina è creare allora una linea di comunicazione diretta e multidisciplinare fra l’open design e la sfera degli interactive things, utilizzando l’abitazione come congiunzione fisica fra makers, designers e le industrie per dar luogo a una forte sinergia fra modalità di prototipazione veloce, progettazione creativa e il know how per la messa in produzione.
L’unione di questi tre settori potrebbe modificare il tradizionale sistema di marketing internazionale, sia introducendo e rendendo poi comune la pratica dell’open design nelle aziende, sia creando la serializzazione di prodotti open source (dunque potenzialmente e infinitamente personalizzabili dai suoi fruitori).
Questa sperimentazione non solo fornisce una chiave solutiva per gli spazi abitativi del domani, ma incoraggia gli industriali a investire in una tipologia di house innovation che per sua natura, essendo un incubatore di talenti flessibili e complementari fra loro, fa da boosting sociale ed economico sul territorio in cui si opera.
Alle connessioni digitali, passando per IoT, smart systems e applicazioni integrate, si deve necessariamente aggiungere una rete di contatti umani che faccia da starter, affinché tutti gli elementi messi in campo finora funzionino e abbiano ragione di esistere.
In virtù di questa conclusione è auspicabile un dialogo più fluido e ampio fra designers autoproduttori e makers, perché solo da un’autentica commistione di eccellenze professionali possono emergere i semi della prossima innovazione, tutto il resto è noia.