creativi e autoproduzione
di Marcello Napoli –
FRANCESCO PAOLO DI SALVIA “LA CIRCOSTANZA”
Un corposo romanzo di un autore 33enne: un filo sospeso tra storia, cronaca italiana degli ultimi 50 anni, equilibri e disequilibri familiari e la crisi, il crollo, la metamorfosi di un partito, il PCI.
13 giugno 1946. “Ora come è ovvio, io non esisto da solo. Giusto? Me lo ripeto sette volte al giorno. E’ la regola. Lodo la comunità per la sua buona legge e mi dico: fattene una ragione, Italo. Io proprio non esiste. Esiste noi. Tanti piccoli noi confederati tra di loro –noi italiani, noi comunisti, noi cattolici, noi Saraceno – e poi un noi unico ed ecumenico che abbraccia tutte le terre abitate. Il noi ecumenico è fonte e scopo ultimo della nostra esistenza. Eccoti finalmente spiegato il senso della vita, caro ragazzo.”
E’ l’incipit storicizzato, moraleggiante, il leit motiv del romanzo di Francesco Paolo Di Salvia, “La circostanza”, edito da Marsilio. Un corposo romanzo poliedrico, ma nella sua struttura unitaria, documentato con molta meticolosità, ma accattivante; è la nostra storia dal Dopoguerra non solo la storia della famiglia Saraceno, e del suo caffè.
La storia, le storie, i personaggi che si avvicendano, tra realtà e leggenda, -Togliatti, Berlinguer Enrico, Occhetto, solo per rimanere al PCI-, lunga mezzo secolo e oltre che attraversa 626 pagine. Un aroma letterario “che non si dimentica”, -slogan del Caffè Saraceno-, che fa già parlare e discutere e abbiamo segnalato appena ricevuta la menzione speciale del Premio Calvino. (Era maggio del 2014, ma il romanzo non era ancora edito.)
Ora il volume è in libreria e il riscontro di critica e vendite è già rimarchevole. E giustamente. Cerchiamo di capire in poche righe perché?
Forse perché la narrazione “densissima e travolgente” condensa mezzo secolo di storia patria e di storia del partito che, più di tutti, – e questo a qualcuno non piacerà, non sarà facilmente digeribile-, è stato capace di sprecare le occasioni che ha avuto per cambiare lo status quo.
Un libro pamphlet e j’accuse; un dito puntato sulle ipocrisie familiari, sulle utopie industriali, sui rancori cresciuti dall’eco del Ventennio, sulle distorsioni della politica e sui peccati dell’Io. Italo Saraceno, futuro eroe delle Resistenza e senatore del PCI, “è nato proprio nel bel mezzo della giornata che i fascisti hanno scelto per accoltellare l’onorevole Giacomo Matteotti nell’abitacolo di una Lancia Kappa nera.”
I capitoli come l’elica del Dna s’intrecciano: un io narrante parla ad un ragazzo, che potrebbe essere uno dei tanti lettori. I capitoli scritti in terza persona servono a ricreare l’effetto “mockumentary”, una falsificazione documentaria. Non sembra in nessuna faccia del poliedro della narrazione il romanzo di un esordiente: il gusto e metodo della ricerca non inficiano l’attenzione del lettore. Quando poi, come nel racconto dell’ultimo Congresso del PCI, lo svolgimento viene messo in parallelo alla liturgia della messa, si capisce come il tessuto, il testo, la scrittura è maturata attraverso studi, letture, esperienze, personalità.